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FilmUP Forum Index > Cinema > Tutto Cinema > The Elephant Man, ovvero la sindrome di John Merrick   
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Autore The Elephant Man, ovvero la sindrome di John Merrick
penny68

Reg.: 14 Nov 2005
Messaggi: 3100
Da: palermo (PA)
Inviato: 05-03-2006 19:16  
quote:
In data 2006-03-05 19:13, Schizo scrive:
Ma cosa pensi di The elephant man?


Straordinario,un film che mi ha commosso e che mi ha intrigato per la vena inquietante e insieme umana che ricorda in parte il "freak" Jack di Eraserhead.

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NightEagle

Reg.: 27 Gen 2006
Messaggi: 419
Da: Rimini (RN)
Inviato: 05-03-2006 19:20  
Lynch ama delineare un immaginario fortemente disturbato e disgustato.... I suoi pensieri sono terrorizzati dalla normalità. E più la normalità è tranquilla e stereotipata e più la stessa
nasconde inquietudini e ..........perversioni indicibili. È tutto qui, il suo linguaggio cinematografico, salvo qualche eccezione. "Eraserhead" è diventato un cult-movie di tale rilevanza da consentire a Lynch l'ingresso ad Hollywood dal cancello principale cosa che gli ha permesso di realizzare "The elephant man" .. ... È questo un film stupendo, possiede una carica melodrammatica che i continui passaggi ed il tempo non hanno minimamente scalfito. È stato candidato nel 1980 ad otto premi Oscar tra cui la regia e la sceneggiatura."È la storia di qualcuno che era un mostro all'esterno, ma dentro era un uomo normale e stupendo, di cui ci si poteva innamorare" dichiara Lynch. Girato in un efficace bianco e nero, è l'unico suo film convenzionale ;l'immediato successo presso il grande pubblico giustifica la rinuncia di Lynch a filmare le sue ossessioni; comunque, la visione dell'opera comunica emozioni profonde mai scontate.


_________________
Senza Sogni..Si è fantasmi..senza saperlo..

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Schizo

Reg.: 16 Ott 2001
Messaggi: 1264
Da: Aosta (AO)
Inviato: 05-03-2006 19:23  
Sono d'accordo con te.
Sul convenzionale però potremmo discutere.
In effetti The elephant man e Una storia vera sono apparentemente convenzionali, ma lo stesso Lynch li definisce "i miei film più sperimentali..."
Per esempio la paura del mostro di sè stesso rompe tutti icardini della cinematografia sui mostri...
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NightEagle

Reg.: 27 Gen 2006
Messaggi: 419
Da: Rimini (RN)
Inviato: 05-03-2006 19:30  
cavolo ho combinato? Si era bloccato il pc
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Senza Sogni..si è fantasmi..senza saperlo..

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NightEagle

Reg.: 27 Gen 2006
Messaggi: 419
Da: Rimini (RN)
Inviato: 05-03-2006 20:01  
quote:
In data 2006-03-05 19:23, Schizo scrive:
Sono d'accordo con te.
Sul convenzionale però potremmo discutere.
In effetti The elephant man e Una storia vera sono apparentemente convenzionali, ma lo stesso Lynch li definisce "i miei film più sperimentali..."
Per esempio la paura del mostro di sè stesso rompe tutti icardini della cinematografia sui mostri...


finalmente sono riuscito a cancellare tutti i posts.. Naggia.
Dicevo...Lynch mi e' sempre piaciuto. Non sono un esperto, guardo i film per il gusto di vederli. Il mio amore e' il teatro , anche se una comparazione e' impossibile. Apprezzo cio' che Lynch riesce a trasmettere . E', per certi versi, inquietante.Certamente il regista si e' migliorato dopo il 1980.
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Senza Sogni..si è fantasmi..senza saperlo..

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trelkowski

Reg.: 09 Mar 2006
Messaggi: 107
Da: palermo (PA)
Inviato: 07-04-2006 16:30  
VOTO 8

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Dick Laurant è morto

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HistoryX

Reg.: 26 Set 2005
Messaggi: 4234
Da: cagliari (CA)
Inviato: 21-11-2006 13:03  
Il miglior topic di filmup per il più profondo e disarmante film mai visto.

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[ Nessuno è più schiavo di colui che si ritiene libero senza esserlo. (Johann Wolfgang Göethe) ]

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quentin84

Reg.: 20 Lug 2006
Messaggi: 3011
Da: agliana (PT)
Inviato: 22-11-2006 18:33  
L'ho rivisto ieri...Bellissimo: non siamo noi ad aver paura del "mostro" , ma è lui ad aver paura del nostro sguardo ( di aperto disprezzo o di falsa pietà) oltre che della sua immagine.
Lynch narra con pudore e sensibilità la vicenda di questo "figlio di un dio minore" John Merrick, condannato a essere visto o come fenomeno da baraccone o come oggetto di compassione destinato a lavare la coscienza dell'aristocrazia vittoriana.Solo i freaks del circo , Treves (per il quale all'inizio era solo un mezzo per far carriera) e, credo, anche l'attrice Anne Bancroft ne comprendono la dignità di essere umano.
Anch'io penso che alla fine John decida di morire per "eternizzare" il ricordo della sua prima serata a teatro, anche se l'applauso che riceve è l'applauso di una società che non lo accetterà mai come persona, John "sceglie" di crederlo sincero e, felice, si addormenta , per la prima volta, "come tutti gli altri".

[ Questo messaggio è stato modificato da: quentin84 il 22-11-2006 alle 18:34 ]

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Velvetone

Reg.: 20 Nov 2006
Messaggi: 604
Da: milano (MI)
Inviato: 22-11-2006 20:07  
John sceglie di crederlo ma dall'alto della sua profonda sensibilità per gli umani ,che lo respingono, sa benissimo che tutto ciò è terribilmente vano,pura illusione.

Indi per cui il finale è di una disperazione unica e disarmante.

Un film che è un tesoro da conservare e apprezzare. Meraviglioso.

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BaldiX

Reg.: 27 Nov 2005
Messaggi: 20
Da: Levanto (SP)
Inviato: 22-11-2006 20:14  
davvero un film commovente e umano, azzeccatissima l scela di linch di usare il bianco e nero nonotante il film sia del 1980. finale tristissimo.
questo film ti fa capire come si debba rispettare il prossimo nelle situazioni + brutte cosa ke dovrebbero imparare quei beoti ke anno pikkiato il ragazzo down, fine monologo

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Schizobis

Reg.: 13 Apr 2006
Messaggi: 1658
Da: Aosta (AO)
Inviato: 23-11-2006 11:31  
quote:
In data 2006-11-21 13:03, HistoryX scrive:
Il miglior topic di filmup per il più profondo e disarmante film mai visto.





Ti devo dare ragione.
Queste tre pagine dense sono un concentrato di emozioni e ragionamenti di persone con una sensibilità al di sopra della media (a parte il sottoscritto naturalmente).
Uno dei migliori topic di Film Up
_________________
True love waits...

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Richmondo

Reg.: 04 Feb 2008
Messaggi: 2533
Da: Genova (GE)
Inviato: 09-05-2008 15:51  
Non riesco a parlare più di tanto razionalmente di quello che reputo il miglior film di David Lynch: The Elephant Man (1980). Opera altissima, di recente fattura, ma di sapore antico e sensibile quanto il teatro e la rappresentazione allegorica da circo, che rielabora attraverso la sua forma solo all'apparenza narrativamente lineare.

Non riesco neppure a resistere alla violenza formale di questa pellicola, così crudamente in bilico fra il realismo oggettivo e la curiosità voyeuristica, fra il sentimento autentico e quello artefatto, fra il "vero" ed il "ricostruito". La struggenza delle immagini e delle vicende qui narrate non è data solamente dalla elevata drammaticità del racconto, ma anche dalla feroce contrapposizione fra "normalità" e "diversità", con i debiti punti di vista rappresentati, posti in conflittuale distacco.

Nell'Inghilterra vittoriana, le tragiche vicende del ventunenne John Marrick (J. Hurt), "mostro", per l'umanità, soprannominato "Elephant Man", colpevole di recare disturbo e di seminare terrore fra la società a causa del suo aspetto orribile, dovuto a malformazioni congenite fin dalla nascita, conoscono, oltre alla violenza di Bytes (suo aguzzino e "padrone", che per anni lo sfrutta e lo "vende" al pubblico come fenomeno da baraccone, picchiandolo e maltrattandolo), finalmente anche la benevolenza di Frederick Treves (A. Hopkins), medico inglese, da principio attratto dall'aspetto scientifico delle menomazioni del giovane "uomo elefante", ma subito redento e propenso ad aiutare il suo paziente.

Già fin dalla prima sequenza del film, in cui il sogno spodesta un'ipotetica linearità narrativa, si colgono le premesse del Cinema allucinato di David Lynch, del suo gusto un po' piacevolmente perverso per la destrutturazione e per la dimensione nascosta dell'inconscio, della sua attenzione alla psiche del singolo personaggio, ma anche della sua tendenza ad esasperare gli aspetti più incredibilmente estremi di una società violenta e ai confini della moralità.

L'acuto uso di simbolismi ed inquadrature rievocano tutti i cinque sensi (e non solo la vista), riprendendo i comignoli ed il loro fumo nero, che sa di "bruciato", ma anche di energia e di "linfa vitale" in una società sempre più sull'orlo di una meccanicizzazione in ogni suo settore, perdendo il significato della dignità dell'uomo (Tempi moderni , di C. Chaplin), filmando gli angoli reconditi dell'interiorità umana (o disumana) attraverso la rappresentazione sorda, priva di suono, ma proprio per questo fragorosamente rumorosa e disturbante, della vita al buio, rivissuta nel sonno, nella muta ma eloquente dimensione onirica, ingrigendo un Mondo che rifugge il colore (bellissimo, qui, il bianco e nero) per fare del "tratto a penna" (quasi drammaticamente caricaturale e, probabilmente, in ossequio a quei Freaks di browningiana memoria) il suo aspetto veramente "malato" e davvero insoportabile: La gente ha paura di ciò che non capisce , afferma il protagonista Merrick riflettendo sulla sua condizione. Ma le persone non solo fuggono dall'inspiegabile. Spesso tentano di dare una ragione ed un volto all'assurdo. E così "dipingono", con mano crudelmente sicura, l'orrore, l'ignoto nelle sue forme più stravaganti, spesso allettati dalla malsana fiducia nelle fiabe e nelle superstizioni, generando, dalla materializazione delle più leggendarie credenze ancestrali, "mostri" che esse stesse muoveranno con i fili.

Ma Lynch, qui, è più crudele che mai: il suo schierarsi indistintamente da una parte, è in verità il fraudolento atteggiamento di chi non giudica la realtà con gli occhi di un vittima, bensì di chi mette la società (e lo spettatore) di fronte al vero volto dell'orrore. Da una parte c'è il mostro, figlio di una violenza animale (e già di per sé, quindi, innocente), che come qualcuno ha acutamente qui sottolineato, ricorda tanto uno stupro. Un diverso che desidera essere normale, pur sapendo che la sua volontà si infrangerà di fronte alle barriere mentali della gente e delle fobie collettive. I suoi occhi puri e genuini affondano nel grasso, nei bitorzoli, nei porri, nei cirri di una pelle "malata", nelle protuberanze ossee, ma rimangono vivi, come fiammelle di ingenua speranza. Dall'altra parte ci sono tutti gli altri personaggi, che di fronte alla materializzazione della paura, si pongono con lo stesso sguardo attonito, stupito e talvolta ferito, che l'impudica machina da presa del regista si butta ad ingrandire ed allargare all'inverosimile, con primi piani che si trasformano in dettagli e che simboleggiano la forza della finzione che ha la meglio sulla realtà credibile. Ma in questo film non c'è mai contatto fra i due mondi. Normali e diversi rimarranno sempre su due piani differenti, sempre separati da una barriera mentale, che Lynch sottolinea con campi e controcampi ben dosati e, sopratutto, con la composizione "periferica" dell'inquadratura, in cui John Merrick, quando dialoga con altri personaggi, rimane spesso ai limiti dell'inquadratura, ai confini dell'accettabilità.

C'è chi ha argutamente rilevato come i sentimenti del perfido Bytes siano in realtà più genuini delle smorfie di disagio mascherate da saorrisi di compassione di tutti gli "amici" di Merrick. Un punto di vista condivisibile e non immediatamentie smentibile, che sottolinea come il Cinema di Lynch non solo rifugga storie così semplici da raccontare attravrso il semplice punto di vista del narratore, ma anche la capacità di questo regista di creare conflitto nello spettatore, di distruggre certezze e di insinuare in lui l'atrocità del dubbio, prima ancora di attizzarne la fantasia o talvolta suscitarne la tristezza e la paura. Per questo scrivo che The Elephant Man è un film di una violenza formale inaudita: l'occhio bivalente e multisfaccettato di Lynch ci pone in antitesi a quella stessa "vittima" le cui sciagurate vicende noi soffriamo empaticamente (lo "stupro psicologico" al ritmo della danza classica da parte di un gruppo di ubriachi è davvero lacerante per la sua drammaticità). Noi stiamo male, piangiamo, strilliamo dentro di noi di fronte alla cruda ingiustizia che il regista ci racconta. Ma, allo stesso tempo, ci rendiamo conto che non possiamo che sentirci parte di quella società disgustosa che ci viene descritta, e disinvoltamente passiamo dal difendere Merrick all'oservarlo con commiserazione.
Così l'autenticità dei nostri sentimenti viene messa in discussione, come quella dei personaggi.

Forse per puro spirito ottimista, mi piace pensare, comunque, che l'amicizia sorta fra Treves e "l'uomo elefante" sia genuina. Ma riconosco del vero nelle parole di coloro che qui hanno riconosciuto questa ambiguità di fondo, nella società rappresentata in questo film.

L'unico sentimento incontestabilmente vero, in effetti, è quello umano ed illuso di John Merrick, il quale alterna un timoroso mutismo a slanci poetici inaspettati (come quando recita un salmo della Bibbia) - inoltre, tramite inquadrature apparentemente insipide di suono, ma in verità sapide di senso e significato, seguite da squarci stralunati, urla disperate, paura e follia in repentino riemergere fra la folla, così aiutato dal montaggio e dalla perfetta regia di Lynch - fulgida fede a pessimistico sconforto, amore per un passato infame a terrore di un presente o di un futuro incerti, umile senso di gratitudine a disperato urlo che sa di rivelazione: Nooo! Sono un uomo, non sono un elefante! Sono un essere umano! grida Merrick distrutto dalla travolgente cattiveria della gente, capace com'è, con la sua irrispettosa e morbosa curiosità, di reagire all' "inaspettato" con la devastante forza dell'accusa infamante e crudele, con reminescenze, qui, di un certo M che altettanto magnificamente Fritz Lang mise in scena (e le ombre nere che coprono gli oggetti bianchi richiamano forse un'attenzione a certe tecniche espressive/espressioniste tedesche).

E proprio nell'ultimo atto di una tragedia che nella sua atrocità fa pensare, tutto sommato, ad un lieto fine, l'Uomo elefante smette di essere "mostro" (una bestia rinchiusa in gabbia fra quatro scimmie urlatrici e che porprio un gruppo di "freaks", dall'aspetto dei buffoni ma dall'animo gentile degli uomini più nobili, hanno liberato) per cominciare finalmente ad essere uomo.
E se in questa vita un "mostro" nasce "mostro" e non smetterà mai di essere tale, perché così la società ha voluto "disegnarlo", allora, il gesto estremo di un suicidio catartico, quel voler dormire come un essere umano, riconoscendosi nella figura ferma e "morta" di un dipinto, dopo essersi invece inorridito per la propria immagine "viva" riflessa in uno specchio, suona come una liberazione o una rinascita:

Mai, oh mai
niente morirà mai.
L'acqua scorre
il vento soffia
la nuvola fugge
il cuore batte

Niente muore.


La rinascita, appunto. Il ritorno alle origini, che giunge solamente dopo essersi scaricati del peso infame di una "colpa" che si ritrovava addosso, senza che egli in realtà fosse mai stato veramente un colpevole.



Già pubblicato sul mio blog .
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MissDiane

Reg.: 28 Mar 2008
Messaggi: 49
Da: firenze (FI)
Inviato: 14-05-2008 14:29  
Tutti sensatissimi i vostri commenti, ma mi piacerebbe approfondire un tema che credo non sia stato ancora toccato.
Treves è preda di incubi, si sente in colpa per aver usato Merrick per farsi un nome, e l'ha anche usato per dare spettacolo di sè, facendolo conoscere nel suo ambiente. Treves appare sui giornali quasi come fosse un marchio di fabbrica su Merrick (ne è lo scopritore, il dottore, l'istruttore, ecc). Lo stesso vale per il film: Lynch "usa" il mostro, ne possiede il copyright, lo sfrutta per fini spettacolari. Filosofeggia intorno alla diversità e alla non accettazione del mostro, ma si mette in discussione, e questo ne evita la caduta di stile, la scivolata nel patetico. Merrick non è patetico quando tenta di conquistare un'immagine dignitosa.

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Richmondo

Reg.: 04 Feb 2008
Messaggi: 2533
Da: Genova (GE)
Inviato: 15-05-2008 10:55  
Il punto è che Lynch, secondo me, non usa il mostro, come mezzo o come tramite. Il suo è soggetto ed oggetto allo stesso tempo, osservato ed osservante contemporaneamente. E la sua magnifica sensibilità gli permette di mostrare i differenti punti di vista, atterrendoci con la sola forza del dubbio.
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